A partire dalla seconda metà degli anni ’90, le tecnologie di digitalizzazione di documenti statici si sono evolute in modo esponenziale, arrivando oggi ad una sostanziale fase di stasi.

Si è passati da sistemi in grado di digitalizzare solo a livelli di grigi, a sistemi che sono in grado di rappresentare il colore a 96 bit (32 bit per canale RGB), da sistemi di illuminazione a lampade fluorescenti con componenti rilevanti di luce IR e UV, a sistemi illuminati a luce generata da LED, da sensori in grado di riprodurre un campionamento spaziale nominale di 200 ppi su formati A4, a sistemi che sono in grado di superare la soglia dei 600 ppi su una superficie maggiore del formato A1.

Di pari passo si sono evoluti anche i sensori, sia lineari che a matrice, fino a superare la soglia “psicologica” dei 100 Mpx.

Quello che resta ancora attuale e non superato dall’evoluzione tecnologica, è la distinzione tra i vari sistemi di ripresa digitale.

Ne possiamo distinguere molti, ma se concentriamo la nostra attenzione su quelli professionalmente utilizzati nel mondo delle riproduzioni digitali di documenti statici, con particolare riferimento a documenti antichi e di pregio storico-artistico, possiamo fermarci a tre principali categorie:

  • Scanner basati su sensori lineari
  • Scanner basati su fotocamere digitali
  • Set fotografici con fotocamera digitale

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Lo scanner, per così dire: quello con la “S” maiuscola, è per antonomasia quello basato su uno o più sensori lineari che effettua la “scansione” appunto, in una direzione del piano di ripresa.

In altri termini, per ogni unità di scansione, ad esempio 1/300 di pollice nel caso di scansioni a 300 ppi, viene raccolta l’informazione di una o più righe (tre nel caso di riprese RGB, una per colore) del documento corrispondente al campionamento spaziale nominale selezionato. La somma di tutte queste righe ci restituisce l’immagine della riproduzione digitale.

Oltre alla “scansione” questi sistemi si distinguono per essere progettati al fine di fornire una accurata riproduzione e quindi devono essere garantite una serie di caratteristiche tecniche di base. Tra queste la distanza tra superficie del documento e fuoco della lente, l’uniformità dell’illuminazione sulla superficie e la costanza nel tempo.

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Gli scanner basati su fotocamere digitali differiscono da quelli a sensori lineari proprio per questo elemento, infatti utilizzano sensori a matrice e la risoluzione spaziale massima che riescono ad esprimere dipende dal numero di pixel che possono essere eccitati sulla superficie di ripresa.

Anche in questo caso i sistemi professionali garantiscono che i fattori che concorrono alla corretta riproduzione dei documenti siano direttamente gestiti dal sistema.

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Il set fotografico, tipicamente composto da uno stativo per il posizionamento della fotocamera e del documento, della fotocamera stessa e del sistema di illuminazione, è tipicamente utilizzato da professionisti della fotografia e non compongono un sistema unico integrato tale da poter essere utilizzato sempre e comunque nello stesso modo ed utilizzando gli stessi parametri.

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Rimanendo sempre ad una analisi delle caratteristiche salienti dei singoli sistemi, proviamo a capire quale è il sistema più adatto alla produzione di immagini digitali di qualità.

In realtà dovremmo meglio chiederci quale sistema si adatta meglio alle varie esigenze di progetto.

Schematizzando al massimo, possiamo dire che lo scanner “classico” si adatta meglio a progetti che prevedono una produzione massiva o comunque ad un periodo d’uso prolungato ed intensivo.

Infatti questi sistemi garantiscono la misurabilità di tutti gli elementi, sia quantitativi che qualitativi, che concorrono al rispetto delle specifiche standard in ordine alla qualità delle immagini digitali (Metamorfoze,  FADGI, ISO 19264-1) e dispongono di sistemi di posizionamento dei documenti avanzati, tipicamente piani basculanti motorizzati a pressione regolabile.

I sensori lineari consentono di raggiungere elevati livelli di risoluzione reale, misurata in coppie di linee per millimetro, e su superfici molto ampie, ad esempio formati A0.

Gli scanner professionali che usano fotocamere digitali hanno fondamentalmente le stesse caratteristiche principali, con la sola differenza che non è possibile ottenere immagini ad alta risoluzione per superfici molto grandi senza ricorrere a mosaicatura o, nei casi peggiori, a interpolazione.

Per contro, considerato che le riprese vengono effettuate con una matrice, sono molto veloci.

Infine i set di ripresa digitale. Questi hanno il grave difetto di non essere omologabili in quanto ogni ripresa è un uninicum che dipende dal posizionamento del documento, da quello della fotocamera e dall’illuminazione.

Ad esempio, con questi sistemi non è possibile stabilire a partire dall’immagine digitale la dimensione reale del documento, anche se nei metadati del file digitale viene riportata una risoluzione spaziale nominale.

Questo è il motivo per cui questi sistemi sono o dovrebbero essere prevalentemente appannaggio di professionisti del settore ed in particolare di fotografi d’arte professionali.

Questi sistemi non si prestano quindi a progetti di digitalizzazione di ampie dimensioni e che prevedono dei criteri qualitativi standard prefissati anche per la mancanza di adeguati sistemi di posizionamento dei documenti.

Per contro alcune caratteristiche come la trasportabilità, li rendono utili per progetti di piccole dimensioni ed in quei casi dove sarebbe impossibile o non economicamente vantaggioso trasportare un sistema più grande e complesso.

La resa di questi sistemi, se correttamente utilizzati, è particolarmente apprezzabile, ad esempio nella percezione cromatica e dinamica delle riproduzioni.

Ovviamente le differenze tra questi sistemi vanno oltre quelle descritte, come la fedeltà cromatica e le aberrazioni geometriche introdotte dalle ottiche, ma questa è un’altra storia…

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